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(Adnkronos) – Non si spengono i riflettori sui medici di famiglia. Lo stesso ministro della Salute, Orazio Schillaci, ne ha parlato a margine di un evento a Roma, evidenziando che si deve "migliorare il Ssn con delle riforme", che "bisogna avere il coraggio di cambiare alcune cose". E rispetto alla volontà di alcuni presidenti di Regione di far entrare i medici di famiglia nel Ssn come dipendenti si stanno "aspettando le proposte delle Regioni". Il dibattito è aperto, ma il punto di partenza per gli esperti deve essere uno: come è cambiato in questi anni il medico di famiglia e cosa potrà diventare nel futuro? Prova a raccontarlo all'Adnkronos Salute Francesco Longo, responsabile scientifico del Rapporto Oasi, Cergas SDA Bocconi. Con una premessa: "Dobbiamo ripensare a che cos'è la prossimità nella contemporaneità". Perché, avverte, la vicinanza al paziente non è solo questione di geografia. I medici di famiglia oggi, spiega Longo, "lavorano tantissimo, lo abbiamo visto con il nostro Osservatorio: gestiscono in media 50 persone (accessi) al giorno. Alcuni arrivano anche a 70-80. Ciò è legato largamente al fatto che il 40% della popolazione italiana è fatta di cronici", quindi su 1.500 assistiti un medico di medicina generale (Mmg) ne avrà intorno a 600. "E il paziente cronico ha frequentemente bisogno di farsi valutare l'esito degli accertamenti diagnostici, di avere consigli in generale e prescrizioni, visite, farmaci. Quindi il motivo per questa crescita strutturale degli accessi è che adesso il 25% degli italiani sono anziani e il 40% cronici". Ma oltre a lavorare molto i medici di famiglia "lavorano prevalentemente da remoto perché sono i pazienti che si rivolgono loro prevalentemente da remoto. Lo vediamo in tre contesti geografici molto diversi tra loro, cioè la provincia di Lecco, la provincia di Forlì e Scampia (Napoli): 16mila gli accessi osservati, il 70% sono da remoto", indipendentemente dall'età del medico e dei pazienti ("anche gli anziani si rivolgono al medico così"). E' un accesso a distanza multicanale: via telefono, app, WhatsApp, e-mail. Questo cosa implica? "Intanto, che il lavoro da remoto va organizzato a questi volumi – osserva Longo – Abbiamo scoperto che i medici di medicina generale più generosi hanno scelto strumenti di risposta sincroni, come ad esempio WhatsApp, salvo non riuscire a smaltire questa pressione di contatti. Contatti che possono continuare anche il sabato sera o quando si è in famiglia o con amici, con rischio burnout. Quindi tutti i canali devono confluire in un unico contenitore digitale e poi bisogna privilegiare modalità e strumenti asincroni". Ma i contatti da remoto bastano a vicariare la capillarità della presenza sul territorio, che sta venendo un po' meno con la crescente carenza di camici bianchi e lo spopolamento degli studi in aree isolate e periferiche? Per Longo va capito il fenomeno: "Oggi c'è da un lato una indisponibilità progressiva dei professionisti a vivere fuori da contesti cittadini, se non addirittura metropolitani". E poi c'è un fattore legato alla trasformazione della società: "Oggi è possibile che non si viva la prossimità intesa come la medicina a un passo da casa nostra. Oggi il nostro negozio più vicino è Amazon, facciamo la spesa da remoto, ordiniamo la pizza da remoto, compriamo i biglietti del treno online, parliamo con i nipoti che sono in Inghilterra o in giro per il mondo attraverso uno schermo. Se la sanità è l'unica cosa che rimane solo fisica, risulta paradossalmente incoerente con la nostra prassi e lontana da come noi interpretiamo cos'è un servizio". Insomma, "l'immaginario dell'anziano che vuole andare in sala d'attesa del medico a chiacchierare credo non esista più, oggi è cambiato anche l'identikit – dice l'esperto – Molti over 65 pensionati stanno bene, viaggiano e si muovono spesso, magari vanno a trovare i figli che vivono lontani. Sono i protagonisti della 'Silver Age', e anche in questo caso il contatto con il medico lo preferiscono da remoto. Noi dobbiamo decidere se stiamo o non stiamo nella contemporaneità e parlare di fattibilità di un sistema. Se i dati ci dimostrano che i cittadini al 70% preferiscono essere serviti da remoto questa cosa va valorizzata. E attraverso il contatto da remoto possiamo anche capire quel 30% che non è disponibile a un'interazione di questo tipo cosa desidera e servirlo al meglio. I pazienti che devono essere visti di persona potremmo concentrarli, se non sono urgenti, in uno o due giorni a settimana. Il professionista che non sta stabilmente in un contesto decentrato può così raggiungerlo in giorni stabiliti. Se invece la situazione è urgente e il medico di famiglia non serve, grazie al contatto da remoto si fa intervenire chi è giusto che intervenga. Possiamo quindi ridisegnare i servizi di prossimità in modo da dare risposta a tutti nel modo migliore". In questo cambio di paradigma però, conclude Longo, "c'è una conseguenza di policy importantissima. Questo lavoro da remoto ci permette a questo punto di introdurre un clinical decision support system, ovvero uno strumento basato sull'intelligenza artificiale che aiuta il medico a definire la diagnosi e la terapia. L'Agenas ha bandito una gara molto importante per milioni di euro che sono finanziati dal Pnrr, per mettere a disposizione un sistema di questo tipo ai medici di medicina generale. Avrebbe dei vantaggi straordinari. I pazienti otterrebbero sempre la terapia giusta, coerente con la migliore evidenza scientifica, il Ssn potrebbe uniformare i comportamenti dei professionisti, perché tutti userebbero finalmente lo stesso standard. E anche il medico avrebbe un vantaggio perché questi strumenti in automatico lo tengono aggiornato e accelerano di tantissimo il suo lavoro. Così non diventerebbe un problema gestire 1.500 assistiti. E ovviamente se questo sistema lo realizza il Ssn, allora avremo tutte le migliori garanzie, diverso è se a fornirlo è un provider esterno, sarei meno tranquillo". —salute/sanitawebinfo@adnkronos.com (Web Info)
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