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(Adnkronos) – Sempre più spesso capita di sentire qualcuno professare la propria intolleranza al lattosio o, quanto meno, preferire nelle proprie scelte alimentari, il consumo di prodotti 'delattosati' cioè deprivati del lattosio. Ma siamo di fronte ad una modo o c'è un fenomeno emergente? In occasione della Giornata internazionale dell'intolleranza al lattosio, lunedì 14 aprile, l'immunologo Mauro Minelli fa chiarezza. "Considerando che, nelle persone con specifica intolleranza, l’ingestione di lattosio abitualmente provoca dolore addominale, diarrea, nausea, gonfiore e flatulenza, è buona norma sottoporsi ad un test dedicato non invasivo e per nulla pericoloso, tanto da poter essere effettuato anche da bambini e donne in gravidanza. Si chiama 'breath test' – spiega all'Adnkronos Minelli, immunologo clinico e allergologo, docente dell'Università Lum – ed è un esame che consiste nel fare espirare i pazienti in un sacchetto una prima volta prima dell’assunzione di lattosio e poi ogni 30 minuti nelle 3 ore successive. Grazie ad una specifica apparecchiatura sarà possibile misurare il picco di gas idrogeno nell’aria espirata prima e dopo l’assunzione di lattosio. In caso di deficit di lattasi il lattosio non può essere digerito e quindi viene fermentato dai batteri del colon, provocando la produzione di gas". "Ogni altro test è da considerarsi inadeguato a diagnosticare un’intolleranza al lattosio, incluso l’esame genetico. In effetti, tante sono le persone che decidono di escludere questo zucchero dai loro schemi alimentari, comportandosi da intolleranti pur senza esserlo o, magari, senza averlo opportunamente documentato. Tale scelta, che talvolta discende proprio da una valutazione genetica del tutto impropria per il lattosio, potrebbe indurre paradossalmente – avverte – la comparsa di un’intolleranza secondaria, conseguente proprio ad un’astinenza inutilmente prolungata dal latte e dai suoi derivati. E questo perché l’enzima lattasi, fisiologicamente presente nella mucosa intestinale e deputato alla digestione del lattosio, se non utilizzato per molto tempo potrebbe inattivarsi. A questo si aggiunga che, nel caso in cui fosse presente una condizione di disbiosi fermentativa, non basterà eliminare il lattosio dalla dieta per risolvere i problemi intestinali, ma saranno molti altri gli zuccheri da limitare o da escludere almeno fino a quando non verrà, coerentemente con il quadro clinico del paziente, ripristinata una fisiologica condizione di eubiosi". Secondo Minelli, "la gestione corretta di fenomeni complessi richiede esperienza ed è consigliabile non affidarsi all'autodiagnosi o a diagnosi farlocche, ma affidare la gestione della propria storia clinica a competenze che siano in grado di fornire indicazioni precise sulle scelte più adeguate, comprese quelle relative all’eventuale assunzione compensatoria della lattasi artificiale. Quest’ultima, infatti, potrebbe consentire l’assunzione di latte e derivati, sopperendo alla carenza dell’enzima deficitario. Ma, anche in questo caso, le precauzioni sono necessarie, perché occorre comunque assumere, pur a fronte della preliminare assunzione di lattasi artificiale, quantitativi controllati di lattosio non superiori alle 4500 Unita Fcc (Food Chemical Codex), e poi perché le forme di intolleranze al lattosio non sono tutte uguali potendo presentarsi, nei diversi individui, con gravità variabili". l lattosio è uno zucchero predominante nel latte dei mammiferi (di mucca, di capra, di asina oltre che di donna) ed è uno zucchero definito complesso in quanto composto da due zuccheri semplici (e per questo definito di-saccaride) che sono il galattosio e il glucosio. "Relativamente agli alimenti lattosati, si può affermare che la quantità di lattosio nel cibo è inversamente proporzionale al grado di stagionatura del prodotto. Dal nostro organismo il lattosio viene assorbito dopo essere stato scomposto nei suoi due monosaccaridi (glucosio e galattosio) da parte dell’enzima lattasi, prodotto dalle cellule intestinali – ricorda l'immunologo – Nelle persone intolleranti al lattosio si verifica una perdita totale o parziale dell’enzima lattasi che, agendo come una ‘forbice’, taglia in due il disaccaride. In assenza di questo 'enzima-forbice', la grossa molecola di lattosio, in ragione delle sue dimensioni, non riesce ad attraversare la parete intestinale e dunque non può essere correttamente digerita". "Cosa completamente diversa è l’allergia al latte, determinata non già dallo zucchero lattosio, ma dalle proteine del latte: alfa-lattoalbumina, beta-lattoglobulina, caseina. In questi casi la reazione non è determinata da un difetto enzimatico e non si presenta con gonfiore e dolore addominale, diarrea, nausea e flatulenza, ma si genera a seguito di una reazione immunologica mediata da anticorpi specifici appartenenti alla classe delle IgE e può manifestarsi con reazioni molto severe che vanno dall’orticaria, all’asma e fino allo shock anafilattico – chiarisce -C’è un’ulteriore differenza di non poco conto: l’enzima lattasi, eventualmente perduto, si può rigenerare; dunque l’intolleranza al lattosio può regredire. L’allergia alle proteine del latte è, invece, destinata a restare, obbligando il paziente a tenersi sempre ben distante non solo dal latte e dai suoi prodotti, ma anche dagli ambienti nei quali il latte viene prodotto e lavorato". Infine, "ci sono forme di intolleranza al lattosio congenite e forme acquisite. Queste ultime, il più delle volte, sono secondarie ad un danno che l’intestino può aver subito per altre cause, del tutto indipendenti dall’assunzione di latte e latticini. Tale danno, che può conseguire a problematiche allergiche (allergia al nichel) o a lesioni della barriera intestinale (intestino ‘permeabile’) o a disbiosi, cioè a turbe quantitative e/o qualitative delle famiglie batteriche che abitano nell’intestino, porta ad un progressivo impoverimento, nel tratto di intestino interessato, delle scorte di lattasi", conclude Minelli. —salutewebinfo@adnkronos.com (Web Info)
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